IN LIBRERIA
Guðbergur Bergsson, Le inquiete e cangianti aurore boreali

Un dialogo infinito
Note in margine a un massacro
2015, Effigie
Octavio Paz ha detto una volta: «Ho scritto e scrivo perché intendo la letteratura come un dialogo con il mondo, con il lettore e con me stesso – e il dialogo è tutto il contrario del rumore che ci nega e del silenzio che ci ignora. Ho sempre pensato che il poeta non è solo colui che parla, ma colui che ascolta». La parola scritta, infatti, è un bambino che dorme e soltanto quando si dialoga il bambino riapre gli occhi. Che cosa può fare la critica letteraria se non aprire gli occhi sul mondo e dialogare con le opere? Negli ultimi vent'anni Rizzante è stato in molti luoghi e ha scritto su autori di molti paesi, dall'Islanda all'Africa settentrionale, dall'America Latina all'Europa centrale, dal Giappone alla Grecia. Nel libro il lettore potrà vagabondare liberamente tra le opere di Saramago, Fuentes, Kundera, Oe, Goytisolo, Bergsson – che l'autore ha incontrato e con cui ha dialogato –, o fermarsi ad ascoltare le voci più lontane ma sempre presenti di Kafka, Nabokov, Eliade, Andric, o di poeti tanto dimenticati quanto essenziali come Oscar V. de Lubicz Milosz, Lamborghini, Crnjanski, Kachtitsis… Oggi, secondo Rizzante, non basta concepire la storia della letteratura in modo sovranazionale. Bisogna tener conto dell'albero genealogico che ogni artista fa crescere e ramificare dalla sua opera e dalla sua immaginazione. Soltanto così la Storia e la storia della letteratura ci saranno restituite in modo non solo più legittimo, ma più profondo.


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L'ESTRATTO
Massimo Rizzante Juan Goytisolo

Dialogo con Juan Goytisolo

MASSIMO RIZZANTE Ecco cosa riportano di solito le biografie sulle tappe essenziali della sua vita: nascita a Barcellona nel 1931; lascia la Spagna per Parigi nel 1956, dove lavora come lettore nella casa editrice Gallimard e dove conosce Monique Lange, che diventerà sua moglie; tra il 1969 e il 1975 insegna in diverse università degli Stati Uniti; successivamente decide di vivere tra Tangeri e Parigi e, infine, nel 1996, dopo la morte di Monique Lange, si installa definitivamente a Marrakech. La sua vita è una storia di rotture... Prima con il suo paese natale, in particolare con la dittatura franchista, poi con l'Europa e l'Occidente, o almeno con un Occidente incapace di dialogare con le altre civiltà e con il suo passato, le cui radici sono il frutto di incontri molteplici... Vorrei cominciare domandandole: che ricordi ha della sua prima educazione nella Spagna degli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso?

JUAN GOYTISOLO Si può dire che non ho ricevuto alcuna educazione. Non sono figlio di mia madre, ma della guerra civile e del suo odio... Tutto ciò che ho imparato dopo la morte di mia madre (1938), tra il 1939 e il 1948, l'ho imparato dalla città di Barcellona, dalle sue strade, dove respiravo il tanfo di una società priva di libertà. Che cosa ci si poteva attendere da un sistema educativo che prendeva le consegne dal nazional-cattolicesimo e che alternava i canti della Falange ai saluti ossequenti ai ritratti di Franco e Primo de Rivera? L'indottrinamento era dovunque. I professori non mi hanno insegnato nulla di buono. I sillogismi scolastici e i precetti religiosi sono svaniti molto rapidamente dalla mia memoria. Mi piaceva molto la geografia. Sognavo di viaggiare attraverso i cinque continenti, andare in America, in Arabia, in India... Il mio interesse per la storia si è rivelato più tardi e si è sviluppato grazie alla biblioteca che apparteneva alla famiglia di mia madre. Mi immergevo nella storia della Spagna. Cosa che faccio ancor oggi.

M.R. In seguito, si è iscritto alla facoltà di Diritto di Barcellona, che abbandonerà ben presto per dedicarsi alla letteratura...

J.G. La mia entrata all'università ha coinciso con l'inizio della mia contro-educazione: Lorca, Neruda, Alberti, Gide, Sartre. Noi studenti ci scambiavamo di nascosto le loro opere. Il fatto che appartenessero alla lista nera della Chiesa di Roma, non faceva che aumentare la mia curiosità e procurare alle mie letture segrete un godimento quasi sessuale. Molto più tardi, allorché sono diventato un lettore accanito di romanzi, mi sono reso conto di non conoscere affatto la letteratura spagnola, eccezion fatta per quella che all'epoca si chiamava «impegnata». L'odio verso il mio paese, il suo regime politico e la sua Chiesa, che celebrava le imprese del dittatore, mi avevano impedito di conoscere la mia letteratura, la mia cultura e le sue radici profonde...

M.R. Cosa che ha scoperto una volta arrivato a Parigi...

J.G. L'
Espagne en vase clos è il titolo del mio primo saggio pubblicato in francese nel 1955. Ho avuto bisogno di cinque anni a Parigi per liberarmi della repulsione che provavo verso la Spagna e per scoprire l'incomparabile invenzione di Cervantes. È stato in quel momento che la mia contro-educazione è terminata e che sono entrato in una fase nuova del mio apprendistato: l'appassionata ricerca della tradizione nascosta della Spagna. A trent'anni, ho cominciato a costruire una mia biblioteca personale delle opere del Medioevo – El libro de buen amor di Juan Ruiz; Corbacho o Reprobación del amor mundano di Martinez de Toledo; La lozana andaluza di Francisco Delicado; La Celestina di Fernando de Rojas – e di qualche altro creatore che ha saputo sfuggire ai canoni del Rinascimento e del Neoclassicismo, come San Juan de la Cruz, Cervantes, Quevedo, Gongora, che formano quel che ho definito «il regno delle eccezioni geniali». In questo modo ho fondato una nuova genealogia della mia tradizione e ho esplorato i suoi forti legami con l'albero della letteratura. E ho compreso quella che ancor oggi è una delle mie convinzioni più profonde: la modernità – in quanto apertura, trasgressione delle regole stabilite, insieme di forme e registri stilistici al servizio di un'unità estetica, riflessione dell'autore sui suoi mezzi – non ha una connotazione temporale, non obbedisce alla legge della cronologia. Nel Libro de buen amor di Juan Ruiz, l'Archiprete di Hita, quest'opera fondamentale del Medioevo, esiste già la frammentazione del racconto, l'uso delle digressioni, il cambiamento delle età dei personaggi – ora giovani ora vecchi – che si possono ritrovare nei romanzi del XX secolo. La libertà dell'Archiprete provoca molte contraddizioni e inverosimiglianze che non hanno nulla a che vedere con l'illusione realista che, al contrario, sarà la camicia di forza del romanzo del XIX secolo. Sempre a Juan Ruiz e alla sua oralità dobbiamo un ampliamento straordinario della voce narrativa, oralità che, dopo l'invenzione della stampa, è stata dimenticata da molti romanzieri e che unisce, al di là dei secoli, il romanzo moderno alle creazioni più significative del Medioevo: è il caso di Joyce, Gadda, Céline, Lezama Lima, Arno Schmidt. E più recentemente di Sarduy, Fuentes, Julián Riós, per citare soltanto gli scrittori a cui mi sento più vicino...

L'intervista completa a Juan Goytisolo si trova nel VI capitolo di Un dialogo infinito, intitolato Alberi nel deserto

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